Videogaming e giochi da tavolo: conversioni di successo

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Il recente lancio di Hogwarts Legacy, uscito lo scorso 10 febbraio, ha confermato ancora una volta che il mondo del videogioco fa rumore soprattutto con titoli di ampio respiro. Si tratta in questo caso di un videogioco ambientato nel mondo di Harry Potter, che va ad aggiungere un attesissimo tassello videoludico a un mosaico già composto da libri e film. Similmente, sempre più spesso si assiste a personaggi videoludici che approdano su, o provengono da, altri media: la recente serie TV The Last of Us, tratta dall’omonimo videogioco, sta convincendo su tutti i fronti a differenza di quanto fatto da The Witcher, uscita volendo capitalizzare il successo del terzo capitolo della saga fantasy; se nel 2016 la serie Assassin’s Creed approdò al cinema con un film, aggiungendosi a diversi libri e fumetti, in tempi non sospetti già Lara Croft, eroina di Tomb Raider, era arrivata sul grande schermo col volto di Angelina Jolie.

Del mondo del videogioco, complice il grande impatto derivante da diverse trasposizioni, si conoscono soprattutto le opere di maggior spessore, ma non per questo tali titoli rappresentano la maggior parte della produzione videoludica. Al contrario: per ogni titolo di questa portata esistono decine e decine di titoli meno noti, che spaziano da progetti indipendenti a piccole produzioni amatoriali. In quest’ottica potrebbe sorprendere il successo dei più tradizionali giochi da tavolo, dagli scacchi alla scopa, in ambito videoludico. Se è facile capire l’ascendente posseduto da grosse produzioni che si inseriscono in quadri narrativi più complessi, meno immediato potrebbe essere capire il successo di videogiochi che si limitano a convertire versioni classiche già di successo; i motivi, in realtà, non mancano di certo.

Ci sarebbe da chiedersi cosa ha sempre affascinato, per esempio, di un mazzo di carte digitale. Chiunque in casa ne ha uno o più, conservati in qualche cassetto pronti per essere sfoderati alla prima occasione conviviale: sembra un controsenso pensare che si possa preferire una versione videoludica. Eppure le suite di carte hanno sempre avuto enorme successo, soprattutto agli albori del videogaming, per la loro semplicità grafica. In tempi in cui gli hardware erano ancora troppo acerbi per videogiochi impegnativi, una delle più semplici applicazioni videoludiche era proprio un mazzo di carte. A partire da un punto di vista grafico: creare dei semplici rettangoli riportanti seme e valore risultava un’alternativa estremamente valida e poco onerosa in termini di risorse, permettendo al tempo stesso numerose varianti. D’altra parte, il celebre solitario di Windows venne creato da un semplice stagista che, nei ritagli di tempo, lo sviluppò pensandolo come ottimo esercizio di apprendimento per il mouse, all’epoca a sua volta una periferica relativamente innovativa: era il 1989.

Se un solitario con le carte è sempre a disposizione anche in versione fisica, e analoghi giochi di carte hanno avuto una forte spinta dalla grafica semplice, non altrettanto si può dire per altri giochi da praticare in compagnia. Che sia con le carte, o con qualsiasi altro supporto da tavolo, un gioco fisico di questo tipo ha sempre bisogno di più giocatori in contemporanea: la possibilità di aggirare tale limite, grazie alla rete, è il motivo che ha favorito le conversioni videoludiche di molti di questi intrattenimenti. Si può pensare al blackjack, ospitato in rete da piattaforme specializzate che ne offrono diverse varianti tra le quali, naturalmente, immancabile è quella multigiocatore; alla scopa, diffusa in innumerevoli applicazioni per computer ma soprattutto per mobile, cosa che permette agli appassionati di sfidarsi in ogni momento tramite smartphone; o anche alla dama, facile da rendere graficamente e giocabile sia contro altri giocatori che contro il computer.

Quest’ultimo aspetto rappresenta uno dei più importanti motivi di successo di un’altra conversione videoludica: gli scacchi. L’insieme di regole e la profondità strategica che li contraddistingue hanno da sempre rappresentato una sfida per gli informatici, che vi hanno visto il miglior banco di prova immaginabile per i test sulle intelligenze artificiali. L’ipotesi è da sempre affascinante: può un computer, apprese le regole degli scacchi e potendo contare su velocità di calcolo inumane, battere un campione della disciplina? Il confronto uomo – macchina negli scacchi ha trovato uno dei primi terreni di scontro, sebbene ludico, e fece scalpore nel 1996 la notizia della sfida tra Garri Kasparov e Deep Blue, un computer della IBM appositamente sviluppato. Ancora oggi, giocare a scacchi con il proprio PC rappresenta una sfida stimolante per molti scacchisti: sebbene praticati in presenza soprattutto nei tornei, gli scacchi videoludici costituiscono una versione di successo di un gioco strategico senza età.

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